I VINCITORI
Le poesie vincitrici della 53^ edizione del Premio Nazionale di Poesia "P. Borgognoni" sono:
Primo Premio
Esilio di Erika De Bortoli (Feltre)
In pochi versi ben calibrati l’autrice è stata capace di evocare la sofferenza e la solitudine dell’esule in cammino. Il dolore è moltiplicato dalla consapevolezza del proprio stato: si riassume in quello sguardo rivolto a un mondo che gli è precluso, rappresentato dalle finestre illuminate dietro le quali si svolge una vita domestica serena, alla quale l’esule non può prender parte. Lo sguardo “volto a finestre illuminate” rivela il bisogno sotterraneo di un appiglio luminoso che non trova riscontro. Il senso di estraniamento e disincanto dal mondo, sottolineato dall’allitterazione di suoni consonantici sordi che evocano fatica e condanna, si traduce in immagine concreta, secondo un modello ungarettiano che si nota anche nella forza di definizione assoluta dell’ultimo verso.
Secondo Premio
Le Madri di Fausto Maria (Sant'Agnello)
Componimento coraggioso, senza cedimenti sdolcinati su un tema che rischiava di scadere nella banalità, attraverso l’uso di un linguaggio fatto di verbi e sostantivi, condensato in una concretezza di immagini da cui emerge la figura di una madre che esercita sul figlio una vigilanza ancestrale, fuori dal tempo, diffondendo un contagio di forza e fecondità. Le madri sono “sentinelle antiche” come divinità della terra, Grandi Madri, Gea, Cerere e Pomona, capaci però di voltarsi “per lasciare che i figli si sbuccino/perché non sia tradito/il patto della terra e le ginocchia”. Il fluire del componimento è reso con un’alternanza di versi brevi e brevissimi, ritmici e incisivi, fino all’espressione finale di una gioia non urlata, che deriva dalla consapevolezza della propria forza e del proprio ruolo di guida discreta.
Terzo Premio
Nella quiete del mattino di Giuseppe Nori (Ponzano di Fermo)
Un fatto di cronaca diventa l’occasione per creare, con andamento pacato, né enfatico né tragico, quasi di accettazione passiva, questo componimento amaro sul tema della morte. Senza esprimere alcuna partecipazione emotiva né di giudizio, l’autore si sofferma sui dettagli, come a voler simulare una sequenza di scene cinematografiche con inquadrature sui singoli oggetti, preciso fino nella definizione dei luoghi. Un uso sapiente di figure di suono ed enjambement dà vita a una successione articolata in tre strofe e un distico finale che in quel “forse” racchiudono il dubbio e sembrano alludere alla scelta drammatica di una giovane che, forse, “stanca” di risvegliarsi “ancora all’alba”, ha voluto porre fine alla propria vita.
Poesie segnalate
Specchio ustore di Raffaele Floris (Pontecurone)
In noch finstereren zeiten di Fabrizio Bregoli (Cornate d'Adda)
Il marciapiede di Stefano Ferro (Verona)
Esilio
Vago per la strada senza appigli,
stanco d'essere straniero.
Tutto è-ciò che sono-
nel mio sguardo
volto a finestre illuminate.
D'esse nessuna m'appartiene.
Erika DE BORTOLI
Feltre (BL)
Le Madri
Reggono sulle clavicole
l'architrave della notte
se troppo incombe
sul sonno dei figli.
Sentinelle antiche,
notturne;
sui capezzali,
sulle gioie.
Quando lanciano sguardi
la terra
si trova in grembo un seme.
Si voltano
per lasciare che i figli si sbuccino,
perchè non sia tradito
il patto della terra e le ginocchia.
Coi piedi scalzi
setacciano il giardino al tramonto,
toccano i boccioli
e quelli s'aprono.
Capovolgono i mari
le madri,
levano all'aria i fondali
e in segreto sorridono.
Fausto MARIA
Sant'Agnello (NA)
Nella quiete del mattino
Eri ai Giardini la sera prima,
come hai detto nell'ultimo messaggio
vocale alla tua amica del cuore.
Così hanno scritto sui giornali, dove
c'erano anche due foto del tuo volto:
sorridente in una, nell'altra assorto.
Devo averti visto attraversare
l'atrio o prendere un libro in biblioteca,
o forse scendere la doppia scala
ad ala del Valadier verso le aule
sul cortile, in uno dei nostri tanti
giorni qualunque a Palazzo Ugolini.
Ti hanno trovato in stanza, sola, fredda
a terra, nella quiete del mattino.
Tutto intorno a quel tumulto, placato
infine, di ago, fiala, e fazzoletto
con il sangue, un ordine perfetto;
la scrivania, la sedia, il letto intatto,
dove non ti sei mai sdraiata, stanca
forse, di risvegliarti ancora all'alba.
Giuseppe NORI
Ponzano di Fermo (FM)
Specchio ustore
Novembre a fari spenti. Ci sorprende
la luce dell'estate che non muore:
regala ancora tempo agli almanacchi.
L'Autunno aspetterà come un amante
tradito. Ma quel lume che si accende
ci dice l'ombra, dove sia il dolore
e quanti colpi occorrano ai batacchi
delle campane. E quanto sia distante
questa vita non-vita che ci prende
per mano, ci sospinge nel fragore
del mondo e poi fa il conto dei distacchi
come uno specchio ustore, deformante.
Raffaele FLORIS
Pontecurone (AL)
In noch finstereren zeiten (*)
Non piove, Franco. Nessuna bufera
che sgrondi questo cielo mite e falso
lo assolva dal suo spergiuro di stelle,
quel bene che non vuole, non si sa
redimere nè assolvere.
Ancora più garbato l'odio, avaro
soltanto nello spendersi per nome.
E troppo storpio il mio tedesco, imbelle
per contrapporgli Brecht, quelle milizie
schierate dure e limpide sul foglio.
Restano versi – pochi –
colpevoli d'esistere, a tradurre
un qualche grumo opaco dal silenzio,
istmo tra parola e nulla,
perchè poesia non è questa di verso
in verso scoscesa luce, che dura
oltre la pietra chiara della voce,
ma questo bianco verticale, il suo
amnio illeso: l'assurdo,
di un fiore, indenne sul ciglio del Diavolo.
Fabrizio BREGOLI
Cornate d'Adda (MB)
(*) “In tempi ancora più bui": riferimento alla nota poesia di Brecht, tradotta in italiano da Franco Fortini (qui chiamato in causa con la sua poesia Traducendo Brecht)
Il marciapiede
Pioggia di passi
scalfisce il tuo volto
annerito, eppure non curi
e ti lasci passare e conosci
d'ognuno il suo incedere
agile, fragile o vigile
e di ciascuno sapresti
il sorriso od il cruccio
se solo la voce tu avessi
per dire, che troppe di cose
hai nascoste fra le fughe
annerite di vita, di sole,
di ghiaccio, di suole che fanno
ciascuna un sussurro preciso.
Ascolti, intendi, registri
ma taci.
E immobile guardi il trapasso
dei passi fanciulli veloci
passare da adulti ad incerti
e sfioriti nell'ultimo
tempo concesso alla vita.
Silente compagno del vivere
nostro, tu sai che nessuno
si avvede o concede pensieri
per te, ma noi siamo quelli
che andiamo e tu, in sole o tempesta,
il solo che resta.
Stefano FERRO
Verona